Il proteoma sinaptico nella malattia di Alzheimer definito con SWATH

 

 

NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 23 maggio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La disfunzione e la perdita di specifiche popolazioni di neuroni appartenenti a sistemi implicati nella rievocazione cosciente, in abilità cognitive e nella riflessione su se stessi, è responsabile dei sintomi con i quali si manifesta la malattia di Alzheimer, ossia la patologia neurodegenerativa con la maggiore prevalenza fra gli anziani in tutto il mondo, con oltre 4 milioni di persone affette solo negli USA. Molti progressi sono stati compiuti nella conoscenza della neuropatologia, da quando le placche β-amiloidi extracellulari e la degenerazione fibrillare intracellulare legata alla tau, costituivano gli unici elementi distintivi della malattia. Lo studio per immagini del cervello e i test di laboratorio del fluido cefalo-spinale (CSF) attestanti la riduzione di Aβ e l’aumento di tau, da tempo orientano la diagnosi, e i progressi nella conoscenza genetica delle forme familiari hanno reso meno oscura l’origine di circa il 5% dei casi; tuttavia, ancora molti aspetti della patologia non sono conosciuti e i fattori determinanti nell’innesco dei processi noti, nel rimanente 95% di casi sporadici, sono ancora scarsamente definiti.

Se in passato gli sforzi della ricerca sono stati concentrati soprattutto sull’individuazione del primum movens nella cascata di reazioni che porta alla formazione degli aggregati tossici di peptidi β-amiloidi e nello sviluppo della degenerazione neurofibrillare associata all’iperfosforilazione della proteina tau, negli anni recenti vari altri aspetti della patologia hanno orientato l’impegno dei ricercatori e, fra questi, la disfunzione sinaptica è sicuramente fra i più studiati.

L’esame istologico di tessuto cerebrale prelevato dal cervello di pazienti deceduti per malattia di Alzheimer ha rivelato la presenza di una degenerazione sinaptica, con una particolare distribuzione territoriale, che è poi risultata caratteristica e selettiva. La perdita di giunzioni interneuroniche cerebrali funzionanti ha attratto l’attenzione anche in rapporto alla sintomatologia. La morte cellulare di estese popolazioni neuroniche, a partire dai neuroni colinergici proencefalici e glutammatergici ippocampali, spiega infatti bene la perdita di memoria e gli altri disturbi della demenza in fase avanzata, ma l’entità dei fenomeni di necrosi ed apoptosi delle fasi iniziali ed intermedie non sembrava tale da giustificare le manifestazioni cliniche.

Ben presto si è compreso che una disfunzione sinaptica si sviluppa negli stadi precoci dell’evoluzione della malattia, e attualmente questa alterazione è considerata un bersaglio patologico primario per il trattamento. I meccanismi molecolari alla base della degenerazione sinaptica nella malattia di Alzheimer sono ancora sconosciuti. È pertanto opinione diffusa fra i ricercatori che la quantificazione del proteoma sinaptico cerebrale in campioni autoptici e la comparazione fra il tessuto nervoso proveniente da pazienti alzheimeriani e il tessuto prelevato da persone con un invecchiamento fisiologico, possa avere un ruolo critico per la comprensione di molti meccanismi molecolari associati con la patologia di questa gravissima neurodegenerazione dell’encefalo.

Chang e colleghi, associando per la prima volta il frazionamento SCX all’analisi SWATH, hanno indagato il complesso delle proteine sinaptiche nella patologia alzheimeriana e in persone sane fungenti da controllo, con risultati assolutamente degni di nota (Chang R. Y., et al., SWATH analysis of the synaptic proteome in Alzheimer disease. Neurochemistry International – Epub ahead of print 2015 May 6 doi:10.1016/j.neuint.2015.04.004, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: School of Chemistry and Molecular Biosciences, University of Queensland (Australia).

Da decenni si cerca di porre in relazione le alterazioni morfo-funzionali di neuroni e circuiti con le manifestazioni cliniche della malattia di Alzheimer, nel tentativo di definire la base fisiopatologica dei singoli sintomi. In tempi più recenti, l’osservazione sperimentale è stata condotta soprattutto a partire dalla considerazione che la perdita della comunicazione sinaptica fra cellule e circuiti, associata alla degenerazione degli assoni e, infine, a quella dei corpi cellulari e dell’intero neurone, possa spiegare la massima parte dei sintomi. Alterazioni che danneggiano i circuiti sono state descritte nella corteccia entorinale, nella corteccia temporale mediale e nell’ippocampo; tutte sono state poste in relazione con la sintomatologia dismnesica ed amnesica. Simili danni sono stati osservati nella neocorteccia, e sono stati posti in relazione con i deficit delle funzioni cognitive di più alto livello, quali quelle necessarie alla comunicazione verbale del pensiero, all’esecuzione di calcoli, alla risoluzione di problemi, al giudizio di eventi, circostanze, fatti e persone. Alcuni studi hanno individuato rapporti fra la patologia cellulare rilevata in queste regioni e la perdita di funzione specificamente legata ai circuiti interessati. Alterazioni neuroniche nel sistema colinergico del proencefalo basale contribuiscono alle difficoltà di memoria, attenzione e risposta di allerta, mentre il danno della corteccia limbica, dell’amigdala, del talamo e dei sistemi rilascianti monoammine (dopamina, noradrenalina, serotonina, istamina) sembra essere alla base di una varietà di disturbi nella sfera delle emozioni, degli affetti, del pensiero e del senso di sé.

Nel 2001, Raichle e colleghi, impiegando una metodica di risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) hanno delineato un sistema integrato di circuiti e punti raccordo o snodi (hub) fra sistemi neuronici, che è stato denominato default mode network (DMN) o rete di default. Tale rete funzionale presenta alti livelli di attività neuronica sincrona quando il nostro cervello è impegnato in compiti che richiedono focalizzazione mentale interna, fra cui richiamo alla coscienza di eventi del passato, prefigurazione di circostanze future e considerazione di prospettive assunte da altre persone[1].

Negli anni seguenti sono state dimostrate correlazioni fra la distribuzione neuroanatomica della rete di default e la localizzazione delle placche amiloidi nel cervello. In particolare, è stato osservato che la formazione di peptidi Aβ risulta associata all’attività sinaptica, spesso nei termini di un incremento dell’amiloide dipendente dall’attività. Su questa base, si è ipotizzato che gli alti livelli intrinseci di attività sinaptica e l’accresciuto metabolismo della rete di default possa giocare un ruolo critico nella formazione e nel rilascio dei peptidi patogeni da parte dei terminali sinaptici dei circuiti appartenenti a questo sistema. Buckner e colleghi hanno dimostrato che i peptidi Aβ si accumulano nelle regioni del cervello corrispondenti alla rete[2]. È stato poi documentato che elevati livelli di amiloide si rilevano in corrispondenza delle giunzioni della rete di default di persone anziane asintomatiche o con segni minimi di difetto cognitivo[3].

Gli studi sul rapporto fra sinapsi altamente attive e deposizione degli aggregati tossici proseguono.

Chang e colleghi hanno isolato sinaptosomi dall’ippocampo e dalla corteccia motoria al fine di ridurre la complessità dei campioni relativa ad omogenati di tessuto intero. Gli estratti di sinaptosomi sono stati sottoposti a forte frazionamento mediante scambio cationico (SCX), per ripartire ulteriormente il campione riducendone ancora la complessità. Ciascuna frazione ha ricevuto un’acquisizione dipendente dall’informazione basata su SWATH per generare una completa peptide-ion library.

I ricercatori hanno allora comparato l’espressione delle proteine sinaptiche provenienti dall’ippocampo e dalla corteccia motoria di pazienti affetti da malattia di Alzheimer con quella delle molecole omologhe, provenienti dalle due stesse sedi del cervello di persone non affette dalla patologia neurodegenerativa.

È stato identificato un totale di 2077 proteine specifiche con un tasso critico di scoperta falsa locale stimato inferiore al 5%. Trenta di queste macromolecole polipeptidiche, incluse 17 proteine del tutto nuove, hanno mostrato significative differenze di espressione fra cervelli di casi di persone affette da malattia di Alzheimer e cervelli dei controlli. Tali proteine sono implicate in funzioni cellulari, inclusa la conservazione strutturale degli apparati citoscheletrici, la trasduzione del segnale, l’autofagia, l’attività proteasomica, lo stress ossidativo; oppure sono state associate alle vescicole sinaptiche o a funzioni del neurone connesse con la produzione di energia.

Le proteine espresse in modo differente fra cervello affetto da Alzheimer e cervello sano sono state sottoposte ad una pathway analysis per l’identificazione delle interazioni proteina-proteina. Questa analisi ha rivelato che le funzioni molecolari e cellulari maggiormente perturbate erano l’assemblaggio cellulare e l’organizzazione.

La core analysis ha rivelato la segnalazione RhoA come la principale via canonica. L’analisi delle reti (network analysis) ha mostrato, specificamente, che le proteine espresse in modo differente erano collegate all’assemblaggio cellulare e ai processi di organizzazione, così come alla fisiologia cellulare e al mantenimento.

In conclusione, si può osservare che il rilievo di questo studio è dato soprattutto dall’essere il primo lavoro sperimentale che ha impiegato in associazione il frazionamento SCX con l’analisi SWATH, una nuova promettente tecnica che potrà accrescere molto l’identificazione di molecole nelle unità proteomiche studiate.

Il lavoro merita di essere valutato con attenzione da ricercatori esperti del settore, sia da un punto di vista tecnico che nei risultati, perché i limiti che ha evidenziato possano essere analizzati e superati.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Nicole Cardon

BM&L-23 maggio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Buckner J. D., et al., vedi nota seguente, 2008.

[2] Buckner J. D., et al. Annals of the New York Academy of Sciences 1124: 1-38, 2008.

[3] Sperling R. A., et al. Neuron 63: 178-188, 2009.